Le piccole attività commerciali temono le ripercussioni di Covid19.

Come puntare sull’identità delle nostre città, potrebbe guidarci verso un futuro sostenibile.

Le botteghe, i negozi, la ristorazione e gli alberghi hanno chiuso le serrande ormai 14 giorni fa. Se è vero che alcuni commercianti hanno intrapreso iniziative istituendo in pochissimi giorni piattaforme di E-commerce locale, è vero anche che ci sono categorie come bar, negozi di abbigliamento, artigianato, gioiellerie ecc. che stanno attendendo il via per ripartire. Non ci è ancora possibile sapere quando, ma il come diventa giorno dopo giorno l’incognita più grande.

Certamente le catene multinazionali hanno accesso a livelli di liquidità differenti, dipendenti con contratti flessibili e strutture organizzative che conferiscono loro un sensibile vantaggio in questo momento. Le attività locali invece, che sono in genere gestite da famiglie che ne traggono spesso l’unica fonte di reddito, si trovano ora più che mai in grossa difficoltà.

Queste attività famigliari e locali sono il carattere distintivo dell’Italia nel mondo e rendono dunque competitive sul mercato le nostre realtà locali.

Da molto tempo si discute dell’importanza di fare acquisti a livello locale, per supportare l’economia delle nostre cittadine. È altresì innegabile, che la sopravvivenza delle attività commerciali non possa basarsi solamente sulla buona fede e sulla solidarietà del cittadino, che di fatto è ormai inserito in un sistema di commercio globale che gli permette di ottenere qualunque prodotto in tempi molto ristretti e a prezzi vantaggiosi.

Ho l’impressione che si stia giocando una partita sul campo da gioco sbagliato. Di fatto, i commercianti dei nostri centri storici non devono essere messi sullo stesso piano dell’e-commerce. È come se si disputasse una partita di calcio tra il Barcellona e una squadra di Lega Pro. Risorse, obiettivi, dimensioni ma anche problematiche sono completamente differenti.

Ma su cosa possono quindi puntare i nostri centri? Il problema si poneva già prima di COVID19, in quanto il modello commerciale delle nostre piccole città è lo stesso che ha avuto tanto successo negli anni 90 ma che era già in forte crisi prima del Coronavirus e rischia ora di subire un colpo di grazia.

Uno studio pubblicato il 20 febbraio 2020 da Confcommercio, che trovate cliccando qui, ha analizzato la crescita delle attività commerciali in 120 comuni italiani medio grandi dal 2008 al 2019. In media sono cresciuti del 16.5% gli alberghi, bar e ristoranti, ma sono diminuite del 2% le altre attività commerciali cosiddette in sede fissa. Le attività commerciali straniere sono passate dal 10,7% al 13,9%.

Questo significa che stiamo progressivamente perdendo la tipicità ed i caratteri distintivi che hanno reso uniche nel mondo le nostre città, perché chiudono i negozi di artigianato, di prodotti tipici e le boutiques dal carattere famigliare, va perso il calore del rapporto personale con il negoziante e va persa anche la tradizione.

Come si evince dalla tabella di Confcommercio in basso, il potenziale declino dei centri storici si basa principalmente su due fattori: il decremento della popolazione e la chiusura dei negozi in sede fissa. Lo scenario peggiore che si prospetta è la desertificazione commerciale ed il disagio sociale.

È evidente che sia quindi, al più presto, necessario un forte cambio di paradigma per far rifiorire i nostri centri non solo come destinazioni turistiche, ma anche come luoghi del benessere dei cittadini. È doveroso ripensare il modello futuro sul quale costruire il successo, per dar vita ad una strategia di lungo termine. Un nuovo risorgimento per le nostre cittadine che tanto hanno da raccontare, che parta dalla riflessione sul posizionamento futuro. Essa non può prescindere dal tema centrale per il successo di ogni destinazione, ovvero la differenziazione.

È necessario per questo scopo definire un processo collettivo nel quale siano coinvolte tutte le parti ed i portatori di interesse delle comunità locali, che permetta di identificare aree di intervento bilanciate a livello economico e sociale e che consenta di raggiungere un alto livello di condivisione all’interno delle comunità. È di fondamentale importanza che la visione futura venga condivisa e vissuta su larga scala dall’amministrazione pubblica, dalle realtà economiche, dalle istituzioni culturali, ma anche dai cittadini.

Il Covid ci potrebbe offrire delle opportunità nuove: il post quarantena vedrà i cittadini affamati di vita sociale, normale, famigliare e cittadina. Giochiamoci questa partita in casa, abbiamo tutte le carte in regola per vincerla!

Vi segnalo qui un’iniziativa di un piccolo imprenditore Altoatesino, Benjamin Profanter, che sta raccogliendo crescenti adesioni tra di commercianti, che in questo momento hanno potuto puntare sull’ecommerce locale: Bringz.com.


	

Una opinione su "Le piccole attività commerciali temono le ripercussioni di Covid19."

  1. Lo conferma anche Li Edelkoort nell’ultima intervista su dezeen.com:
    Therefore, if we are wise – which sadly we now know we aren’t – we will start up again with new rules and regulations, allowing countries to get back to their knowhow and specific qualities, introducing cottage industries that would flourish and grow into an arts-and-crafts century, where manual labour is cherished above everything else.

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